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La troppo prematura dipartita di Ezio Vendrame è una di quelle notizie che spacca il cuore. Chi ha amato il calcio non ancora troppo assuefatto dai tintinnanti copechi dei magnati asserviti alla sola ragione del profitto può soltanto ricordare con nostalgico piacere questo magnifico perdente mai troppo osannato dall'epica giornalistica, oggi fin troppo appecoronata ad incensare i regimi di turno ed i suoi indegni rappresentanti pedatori.
Il folle menestrello di Casarsa, a mio modesto avviso più riconducibile nello stile e nelle caracollanti movenze a Garrincha che al Mario Kempes italiano (così lo appellava inopportunamente Boniperti) è stato uno dei pochi calciatori controtendenza e mai allineato al finto perbenismo dilagante presente nel dorato mondo del Dio Pallone.
Lo tratteggiava esemplarmente Giancarlo Dotto nella prefazione del libro "Se mi mandi in tribuna godo", ormai praticamente introvabile:
"...il suo talento era una beffa della natura. Bestemmiato e cestinato. Da calciatore era un disadattato. Scoprì in fretta che l'essenziale era altrove. Nell'amore e nella perdizione, nelle donne e negli amici....con l'estinzione di giocatori come Vendrame, gli stessi Gigi Meroni, Zigoni e, su altri versanti, i Giacomino Losi, i Lodetti e i Di Somma, abbiamo perso l'invenzione e la passione. La voglia di stupire e un po' anche quella di morire". In pratica nel 2003 gli aveva gia regalato il degno epitaffio.
Ciao Ezio, grazie in eterno per tutta la Poesia che mi hai regalato.
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