CSKA Sofia v PanathinaikosAtene.
Dopo la semifinale raggiunta nel 1971 il calcio greco ha capito di poter essere competitivo ai massimi livelli, iniettando dracme per assoldare ed attrarre grandi allenatori e grandi assi.
Per farlo al timone del Panathīnaïkos Athlītikos Omilos, la società atletica di tutti gli ateniesi, c’è un nuovo presidente, Michail Kitsios, spalleggiato dai vertici del potere politico ed economico e dalle loro donne.
Despina, consorte di Geōrgios Papadopoulos, è la prima tifosa. Il capo della Giunta militare cerca di raggranellare consensi nei ceti bassi con un’immagine popolana, anche cavalcandone le passioni più viscerali, la religiosità ed il pallone.
Elisa Karadontis in Goulandris, avendo impalmato “Basil”, raffinato rampollo dell’opulenta famiglia di armatori della Orion (tradizionalmente legata alle sorti dell’Olympiacos), vorrebbe incastonare nella sua sconfinata collezione di arte moderna, tra il
Nudo con le braccia alzate di Picasso e la
Raccolta delle olive di Van Gogh, una coppa.
Alla vigilia Puskás e i giocatori sono stati ospiti sul loro panfilo, ormeggiato al largo del Pireo.
Tra gli incentivi anche la promessa di un bacio, al rientro dal certo successo per la « superiorità della gioventù ellenica su quella bulgara », dalla già reginetta di bellezza e come loro semifinalista - a Miss Universo - Zoe Laskari.
Sparta, ovvero Sofia.
Dalle pregiate assi di teak marino alla caserma dove l’ufficiale in servizio Manol Manolov ha radunato le sue truppe dopo la soddisfacente trasferta a Varna nel quarto turno di un campionato vinto per il secondo anno consecutivo al termine di una stagione perfetta in patria, impreziosita anche dalla Coppa dell’Esercito Sovietico (3-0 ai malcapitati concittadini dello Slavia in finale).
In Europa si sono spinti fino ai quarti, fermati dai campioni uscenti del Feijenoord (come i loro avversari odierni due anni or sono), dopo aver mietuto una vittima illustre quale il Benfica di Eusébio.
L’allenatore del CSKA ha inculcato nei suoi atleti, veterani di molte battaglie, lo stesso precetto che guidava ogni soldato spartano: « torna con lo scudo o sopra di esso ».
Sebbene la lettera lamba che lo fregiava ed il nome della città del Peloponneso sinistramente richiamino ai loro acerrimi rivali del Levski-Spartak…
Il primo tempo è assai equilibrato, sono soltanto due le azioni degne di nota e da ciascuna scaturisce una marcatura.
Al quarto d’ora, correndo con le sue lunghe leve, Antonis Antoniadis sembra litigare col pallone.
Ad ogni rimbalzo pare perderne il possesso: un avambraccio galeotto evita che Gaganelov glielo soffi e concede alla Scarpa d’Argento (39 centri in 34 gare nella scorsa Alpha Ethniki) la possibilità di calciare.
La battuta è secca quanto precisa. Non lascia scampo a Yordanov.
La risposta dei
Červenite, i rossi, arriva una decina di minuti dopo.
Gran parte del merito è di “Paro” Nikodimov che combina in velocità con Marashliev, esule della Tracia, abile con la punta del piede a precedere le mani di Konstantinou, schierato per l’indisponibilità del titolare Ikonomopoulos come nelle semifinali contro gli olandesi.
La partita scorre su binari lenti e accidentati, come gli sferraglianti tram nel centro cittadino, sotto i mattoni rossi della moschea e del minareto di Banja Baši.
Gli unici a segnalarsi, con iniziative individuali dalle retrovie, sono Dimităr Penev, il libero e capitano dei bulgari, e Kostas Eleftherakis, che si danna perlustrando ogni zolla del campo alla ricerca di palloni che poi porta agli attaccanti con instancabili progressioni.
Lo chiamano “το ελάφι”, il cervo. Calzante con la sua inclinazione al sacrificio nel mito di Ifigenia.
Pare che l’ineffabile tenente colonnello Aslanidis, plenipotenziario dello sport greco, abbia rimandato al mittente un’offerta di 35 milioni di dracme giunta dal Real Madrid.
A scuotere lo stallo sono un mago e una strega provenienti dal Sud America.
Il “μάγος” (il mago) è Edemil Araquem de Melo, tesserato come Araken Demelos, con il sotterfugio di farlo passare per un espatriato.
Si tratta del primo giocatore straniero nella storia del Panathinaikos e, domenica prossima, sarà il primo brasiliano nel campionato greco. In verità usa la potenza più che gli incantesimi: guadagna un calcio d’angolo con una bordata da fuori.
“La bruja” (la strega) è Juan Ramón Verón, la talentuosa ala mancina dell’Estudiantes de La Plata.
Ha passato la prima ora di gioco, calpestandosi i piedi con Domazos e litigandosi l’attenzione dei compagni cui reclama il pallone con plateali gesti delle braccia.
Il primo cenno d’intesa tra i due è peraltro assai promettente: corner liftato di “Mimīs”, incornata di testa dell’argentino.
Il duetto si ripete in contropiede, invertendosi i ruoli: Verón ispira e il brevilineo fantasista ateniese arriva alla conclusione mancando abbondantemente i pali e spedendo il pallone nella tribuna occupata dalle migliaia di sostenitori arrivati dalla Grecia. Hanno passato il confine meridionale e bivaccato accampandosi nel Parco della Libertà tra lo stupore dei cittadini e l’imbarazzo di Ivan Panev, il sindaco di Sofia.
Lo stupore del pubblico di casa aumenta quando Manolov, in svantaggio, attua una mossa di contenimento: entra Plamen Yankov con il precipuo incarico di francobollare Domazos, esce un abulico Petar Zhekov, il più prolifico cannoniere nelle fila bulgare.
La scelta di “Simoliyata” si rivela azzeccata.
Senza un catalizzatore centrale, le manovre si allargano sulle due fasce consentendo a Denev e ad Atanasov di essere più minacciosi.
Quest’ultimo arriva al limite dell’area e con un rasoterra angolato ristabilisce la definitiva parità.