OSC GIULIANOVA - Teramo

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view post Posted on 6/11/2018, 15:24
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Ottimo il panno originale, giocato ieri al torneino infrasettimanale con 8 partecipanti arrapati di provarlo per primo, come al solito tuo fratello non ha vinto, pero' ringraziamo di cuore del pregiatissimo panno regalo.
 
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view post Posted on 20/12/2018, 10:40
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walker

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Loc-Natale-2018

Buone Feste!
 
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view post Posted on 7/1/2019, 16:29
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walker

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Loc-Coppa-Italia-e-B

Grazie, singolarmente, ad ognuno di voi. A chi ha partecipato, a chi non è potuto venire, a chi è tornato, a chi ha vinto, a chi ha perso, a chi ha pareggiato, a chi voleva vincere ma ci riproverà. Grazie per la bellezza che donate, ogni maledetto giovedì da sei anni a questa parte. Perché giocare non è scontato, perché giocare è un privilegio. E voi, tutti, non scordatelo mai. Anche quando non digerite...pasta e fagioli. Siete splendidi

Di seguito qualche immagine della serata.
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BRACCO M.
view post Posted on 7/1/2019, 16:48




Bellissime foto , buona prestazione di mio fratello wolf con la sua cavese fermato in semifinale dalla var e da Claudio , complimenti all'alessandria di mister aus68 per essersi aggiudicato la coppa italia ,un cordiale saluto dall' osc thyrus terni . :up: :clap: :clap: :old: :flag:
 
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view post Posted on 22/1/2019, 15:52
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Eccezionalmente il ritrovo questa settimana si sposta a venerdi ....per l occasione organizziamo torneino a tema vista che siamo in prossimita del festival della canzone italiana di Sanremo
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Edited by chernes - 22/1/2019, 19:00

Attached Image: IMG-20190122-WA0011

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view post Posted on 22/1/2019, 15:55
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Presidente, so che le locandine sono splendide, ma possiamo postarne anche una alla volta. :lol: :lol: :lol:
 
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BRACCO M.
view post Posted on 22/1/2019, 16:55




Locandina da applausi ... :clap: :clap: :clap: ,salutatemi mio fratello wolf74 :up:
 
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Simone Gran Sasso
view post Posted on 27/6/2019, 15:10




Mi aggiungo alla discussione soltanto per dire che grazie all'interesse e all'esperienza dell'OSC Giulianova qualcosa si sta muovendo concretamente anche a L'Aquila!
 
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view post Posted on 21/7/2019, 14:08
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Siano contenti che anche all''Aquila si sta cercando di creare un nuovo club di old subbuteo.....
 
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view post Posted on 23/12/2019, 00:40
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view post Posted on 23/12/2019, 00:56
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Belli e bravi … ma quest'anno giocate … dalle foto dello scorso anno ho visto solo piatti di pasta e fagioli … :D :D :D
 
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view post Posted on 23/12/2019, 00:59
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CITAZIONE (arpat @ 23/12/2019, 00:56) 
Belli e bravi … ma quest'anno giocate … dalle foto dello scorso anno ho visto solo piatti di pasta e fagioli … :D :D :D

....................giocare? , forse ^_^
 
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view post Posted on 23/12/2019, 09:37
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CITAZIONE (arpat @ 23/12/2019, 00:56) 
Belli e bravi … ma quest'anno giocate … dalle foto dello scorso anno ho visto solo piatti di pasta e fagioli … :D :D :D

:lol:
 
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view post Posted on 17/3/2020, 17:43

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Mancano le partite e gli appuntamento del giovedì e mancano, presuntuosamente lo immagino, anche gli articoli del venerdì/sabato. Allora, su soggetto di mia moglie, mi è venuto in mente un racconto che vi propongo a puntate. Buon divertimento nella speranza che, almeno per un momento, possa strappare un sorriso. Viva il Subbuteo.

Fuga per la gloria



Avete presente il modo di dire: “Come se ci fosse caduta una bomba”? L’immagine del Circolo, dove si disputavano i campionati di Subbuteo era quella, pari pari. Impeccabile, come al solito, ma vuoto. Le luci accese riflettevano le immagini di un abbandono frettoloso; le tazzine sporche di caffè nel lavello, bicchieri vuoti sul bancone, una birra a metà su un tavolo, un succo al mirtillo nella sala più piccola. Residui del Dottore, sicuramente. La TV mandava le immagini senza audio di ospedali e medici con le mascherine, infermieri frettolosi con barelle coperte, in sovraimpressione i dati della mattanza. Città vuote, spettrali, raccontate da inviati dei maggiori network quando da raccontare non c’era nulla. La desolazione del coprifuoco non ha bisogno di narrazioni, si percepisce da sé. Mezz’ora prima la figura del Premier, in diretta nazionale, aveva snocciolato i dati del dramma che la nazione viveva. Viso tirato, sorriso finto a mascherare quello che gli occhi lasciavano intuire palesemente: paura. Per la prima volta appariva con la cravatta allentata e il primo bottone della camicia immacolata a scoprire il collo, i capelli scarmigliati, le occhiaie profonde che non avevano incontrato le mani di nessun truccatore. La diretta era da casa sua, anche lui contagiato, con l’ausilio di Skype. “Non possiamo che invitarvi a stare a casa rispettando le consegne in maniera tassativa; l’esercito ha l’ordine di sparare a vista su coloro che dovessero essere per le strade dalle 20:00 alle 05:00. Non sono ammesse eccezioni. Ne usciremo fuori ma non possiamo più concedere margini di movimento”. A quelle parole il fuggi fuggi era stato irrazionale, immediato, terrorizzato. Il tempo di salutarsi frettolosamente, prendere i giubbotti, guadagnare l’uscita; neanche il proprietario si era sottratto a quell’impulso, c’era chi lo aspettava a casa. Aveva abbracciato il Presidente, chiuso la porta, andato via. Nel locale rimanevano i campi posizionati come al solito, il Centrale nella sala bar, quattro nella sala club, l’ultimo nell’aula bunker, il covo del Dottore. Su alcuni panni verdi le miniature in posizione, pronte al fischio d’inizio; su altri le pezze per la lucidatura, i liquidi lubrificanti, le custodie fantasiose con gli adesivi, i gagliardetti, le immagini più disparate. Cronometri negli angoli e portieri sulle stecche, pronti a respingere un attacco, parare un tiro, compiere un miracolo. Tutto immobile come una fotografia che poteva virare seppia da un momento all’altro. Improvvisamente un movimento nella stasi. Sul campo centrale Diego Armando Maradona si girò verso Nery Pumpido, il portiere, e lo mandò a controllare cosa stesse succedendo; l’estremo difensore si sganciò dall’asta, si sgranchì le articolazioni intorpidite dalla stasi e si avviò a piccoli passi verso il bordo del campo. Si arrampicò sulla balaustra in legno, guardò a destra e a sinistra. “Mi Capitan, qua non c’è più nessuno, tutti andati via. Non capisco cosa succede”. Diego era seduto con le braccia ad avvolgere le gambe muscolose ripiegate. Restò sorpreso per un attimo, poi balzò in piedi con un colpo di reni. “A la mierda pasa? Che cazzo succede?”. Si grattò i folti ricci tagliati corti. Era in una forma strepitosa e con quella compagnia scalcagnata avrebbe vinto il Mondiale del 1986. Guardò Jorge Valdano e gli chiese se avesse idea della situazione. “Diego, sono andati via tutti di corsa, ma non ne capisco il motivo”. A quel punto Maradona si rivolse verso il capitano della squadra avversaria, Caracciolo della Feralpi Salò. “Me rompí las bolas col Vet che s’è messo in mente che siamo il Pescara! Andrea, la giochiamo da soli questa partita? Ma noi siamo l’Argentina, non il Pescara”...

Continua

 
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view post Posted on 17/3/2020, 19:42

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Fuga per la gloria - Seconda parte



Andrea Caracciolo da Cesano Boscone, con diploma di perito elettrotecnico e genitori meridionali, guardò oltre la linea della mezzeria e adottò l’attegiamento dello studente chiamato alla lavagna o, se preferite, di Robert De Niro in Taxi Driver: “Dici a me?”, puntandosi il dito medio contro il petto. Diego, con le mani sui fianchi, lo guardò come si fa con un bambino un po’ tonto e assentì, silenziosamente. L’Airone si voltò verso i suoi compagni in maglia verdeblù e disse: “Ragazzi, giochiamo un’amichevole contro l’Argentina dell’86”, come se fosse la dichiarazione più ovvia del mondo e l’equazione spazio/tempo qualcosa che non appartenesse a quella dimensione. Ed infatti non le apparteneva. Mentre Burruchaga terminava il suo riscaldamento ai flessori, senti chiamare ad alta voce dalla stanza accanto.

Gigi Riva era appoggiato alla base del palo, quello sinistro. Su quello destro, nella medesima posa di attesa, Enrico Albertosi. Rombo di Tuono aveva in bocca uno stelo d’erba, la luce al neon della stanza centrale, con la sua forza, sembrava un sole a mezzodì, senza averne il calore. Il bomber aveva gli occhi chiusi e immaginava, ricordava, rifletteva. Immaginava di essere al sole dell’Amsicora il 12 aprile del 1970, il giorno del primo, ed unico, scudetto del Cagliari. Il giorno più bello della sua vita? Chissà. La dicotomia tra il carattere schivo del leggiunese ed il calore naturale dell’isola era un mistero irrisolto. Aveva sentito le notizie della TV, il campo era piazzato lì vicino. Era preoccupato, ma non per lui, non per i suoi compagni di squadra. “In fin dei conti siamo miniature animate dall’estro e dalla fantasia dei nostri proprietari. Possiamo ammalarci solo nei loro sogni. Corriamo il rischio di romperci, ma la colla mette tutto a posto”. E già che lui si era rotto, sul serio. A quel pensiero il polpaccio e la caviglia destra iniziarono a prudergli, come il moncherino di un amputato. Ma, per fortuna, la gamba destra era attaccata al suo posto. Ricordava, però. Il 31 ottobre del 1970, il Prater di Vienna, il Cagliari già lanciato verso quello che sarebbe stato il secondo scudetto. Gigi quella partita con la maglia della Nazionale non avrebbe dovuto giocarla, così come il mediano difensivo Norbert Hof della nazionale austriaca. Ma il destino incrocia e fa scherzi, a volte molto amari. Incrocia un tecnico tedesco che veicola un virus in Italia di ritorno dalla Cina. Pensate che beffa. Incrocia due giocatori con tasso di “sapere” calcistico agli antipodi, ed il più scarso frattura il perone del più forte. Il giorno più brutto della sua vita? Chissà. Riva scacciò quel pensiero con la mano, come ad allontanare un insetto in quell’ambiente asettico che non ne conteneva. Rifletteva. Rifletteva di come la sua squadra, dopo cinquant’anni, avesse finalmente trovato una guida all’altezza, un tecnico che, in punta di dita, sapeva spingere quelle miniature oltre le paure e che alimentava un sogno contenuto nei numeri, nella cabala. Era ora di chiudere un cerchio, riportare il tricolore a Cagliari, e quel mister (Il Freddo lo chiamavano), che li faceva allenare come ossessi tutti i giorni, ne aveva la forza. Era capace, nonostante i cinque scudetti consecutivi in altre formazioni, di avere ancora “fame”, di sognare le casacche bianche sotto la curva non più dell’Amsicora ma della “Sardegna arena” ad abbracciare il popolo di quella che era una nazione nella nazione. Quando potremo tornare ad abbracciarci, senza paura. A risvegliarlo fu la voce di Angelo Domenghini che urlava verso la porta dell’altra stanza chiedendo cosa succedesse. “Ehi, dell’altra stanza, che passa?”. Fu Burruchaga, come detto, a rispondere: “Qui sono scomparsi tutti, ci hanno lasciato in campo”. Domenghini di rimando: “E che cosa pensate di fare?”. Il “Burru”, ironicamente: “Cosa vuoi che facciamo? Giochiamo!”

Riva, che aveva sentito il colloquio, si sollevò appoggiandosi al palo, trotterellò verso il centrocampo. Di fronte vide Giampiero Boniperti, impeccabile nei suoi boccoli biondi e con l’immancabile fazzoletto a detergersi il sudore del riscaldamento. Alle spalle del futuro presidente della Juventus, la maglia bianconera extralarge del gallese Charles e i calzettoni arrotolati di Omar Sivori. “Avete sentito anche voi?”, chiese Riva. “Sì”, rispose preoccupato Boniperti. “Cosa ne dite di un’amichevole?”, fece il cagliaritano. Boniperti si voltò e fissò negli occhi i due compagni di squadra, senza proferire parola. El Cabezòn sollevò con una magia la palla di cuoio che aveva tra i piedi e la scaraventò nella porzione di campo occupata dal Cagliari. “Ganamos cabras”…

CONTINUA

 
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