Fuga per la gloria - Terza parte
Gianluca Signorini[1]e Valentino Mazzola[2]erano fermi a centrocampo e con gli occhi scrutavano quello che accadeva nell’altro campo. Dalla porta della sala bunker riuscivano a vedere, a malapena, cosa accadeva nella stanza accanto; distinguevano il testone di Sivori e le spalle da gigante, che superavano la balaustra in legno, di Charles. Videro volare in alto il pallone calciato dall’argentino.
“Pare che giochino”, disse Signorini.
“Così pare”, rispose laconico il granata.
“Credi che gli umani abbiano paura?”, replico il genoano.
“Beh, hanno bloccato i campionati, quelli veri. Pare che questo virus sia micidiale. Uccide gente come le mosche”
“Noi siamo già morti, non abbiamo nulla da temere”
Mazzola rise a quell’affermazione: “La paura è una cattiva consigliera, non ti fa riflettere. Non ho combattuto la Seconda Guerra mondiale, facevo l’operaio alla FIAT, ma i visi del terrore sotto i bombardamenti di Torino li ricordo tutti. Erano come quelle dei cerbiatti di fronte alle canne del fucile dei cacciatori. Ma dopo ogni guerra, e questa lo è, c’è la ricostruzione. E gli umani hanno la possibilità di essere migliori di quanto erano ultimamente diventati”
“Quando siete precipitati a Superga[3]la paura l’hai vissuta?”
“Sai, non ho fatto in tempo. Pioveva a dirotto, non abbiamo neanche avuto la percezione di quello che stava succedendo. Forse ho pensato alle mie mogli e a Sandrino. Ma è solo un trucco della mente, non lo so. E tu, hai mai avuto paura?”
“Sì, di apparire ridicolo, di essere un fenomeno da baraccone”
“E quando?!”
“Il 24 maggio del 2001 quando mi hanno portato in campo, a Marassi, con la carrozzina. Era un amichevole per raccogliere fondi a favore della ricerca sulla SLA. Per me ha parlato mia figlia, io non potevo. Non avrei mai potuto, anche avendone le possibilità. Su quel campo io ho corso, ho difeso, ho sudato, ho esultato per mille vittorie, ho pianto per una retrocessione. Ma l’ho fatto sempre in piedi, non spinto a braccia da altri. Sono morto l’anno dopo, di novembre”
Mazzola abbassò gli occhi: “Capisco. Ma gli eroi non muoiono, son tutti giovani e belli”
A quel punto fu Signorini a sorridere: “Che fai, mi citi Guccini adesso?”
“No”, disse Mazzola restando serio. “Tu, io, i miei compagni di squadra, non siamo morti. Resuscitiamo, in una sorta di miracolo laico, ogni qualvolta c’è chi pensa a noi, quando ci evocano, ci mettono in campo su queste buffe basi, ci fanno volteggiare, dribblare, segnare. E c’è sempre uno striscione, anche se ai miei tempi non si usavano, un coro, un abbraccio per festeggiare. Viviamo grazie al loro amore, alla loro fantasia. E noi facciamo vivere loro in una dimensione di sogno, anche fosse solo per due ore a settimana. E la fantasia dei poeti può diventare realtà. Non credi?”
“Mah”, disse scettico il genoano. “Non saprei che dirti”
“Qual è il tuo ricordo più bello?”
Signorini ci pensò su un attimo, poi il ricordo gli illuminò il viso: “Era il 18 marzo del 1992, siamo stati la prima squadra a vincere a Liverpool. Facemmo un’impresa che a Genova ancora rammentano, e non solo a Genova. Nella curva opposta alla KOP[4]c’era uno spicchio dei nostri tifosi. Non smisero mai di cantare ed incitarci. Ho ancora nelle orecchie il loro canto”
Improvvisamente nell’aria, prima a basso volume e poi sempre più forte, come un tuono, le note e le parole di “Yuo’ll Never Walk Alone”[5], l’inno dei Reds[6].
“Girati e guarda”, disse Mazzola
Signorini si girò e restò paralizzato. E stavolta la SLA non c’entrava nulla. A sinistra un muro di sciarpe rosse, compatto come un’onda di burrasca, alto come le scale per il Paradiso. Il coro era assordante, ipnotico, incuteva, allo stesso tempo, timore, soggezione, ammirazione. Più piccola, in basso a destra, una caravella rossoblù, uno striscione che portava scritto “Fossa dei Grifoni – We are Genoa”. Da lì veniva un sussurro, rispetto al boato della KOP, un canto lieve come quello delle sirene. A Signorini venne la pelle d’oca ma non ebbe neanche il tempo di piangere; sentì, dalla parte opposta e alle spalle di Valentino Mazzola prima una voce che elencava, attraverso un altoparlante gracchiante: “Bacigalupo, Ballarin, Maroso, Grezar, Rigamonti, Castigliano, Menti, Loik, Gabetto, Mazzola, Ossola e, subito dopo il suono di una tromba.
Vide una tribuna differente da quella precedente, una gradinata in legno e cemento. I visi magri, i capelli con la riga di lato, uomini in giacca e cravatta, eleganti. Tifosi accalcati uni agli altri ma educati, composti. Solo dopo qualche secondo notò l’assurdità: l’immagine era in bianco e nero!
“Ma cos’è?”, riuscì infine a chiedere.
“È la gradinata dello stadio Filadelfia[7]nel 1946; quelli che vedi sono i visi di un popolo che è appena uscito da una guerra e li vedi in bianco e nero perché noi così li immaginiamo. Bello, vero?”
“Fantastico! Quella diffusa era la vostra formazione, vero? Ma la tromba?”
“Sì, quella era la formazione e la tromba la suonava un certo Oreste Bolmida, di professione ferroviere, quando scoccava il Quarto d’ora granata.”
“E cos’era?!”
“Eravamo i più forti, e lo sapevamo. Giocavamo al piccolo trotto o, a volte, andavamo sotto nel risultato; lo facevamo apposta, per far divertire il pubblico. Poi, ad un certo punto, iniziavamo a fare sul serio ed era la tromba a richiamarci all’ordine. Ed io davo il segnale in campo”
“E qual era il segnale?”
Mazzola lo guardò negli occhi, sorrise, si rimboccò le maniche di lana della vecchia divisa granata. Era quello il segnale, rimboccarsi le maniche. Si girò verso i compagni di squadra:
“Ragazzi, si gioca!” ...
CONTINUA[1] Gianluca Signorini, giocatore del Genoa morto di SLA nel 2002
[2] Valentino Mazzola, capitano del Grande Torino dal 1942 al 1949
[3] La tragedia di Superga fu un incidente aereo avvenuto il 4 maggio 1949. Alle ore 17:03, il Fiat G.212 della compagnia aerea ALI, con a bordo l'intera squadra del Grande Torino, si schiantò contro il muraglione del terrapieno posteriore della basilica di Superga, che sorge sulla collina torinese; le vittime furono 31.
[4] Dal 1906 una delle curve dello stadio Anfield Road è chiamata Spion Kop, dal nome di una collina nella regione sudafricana del Natal, luogo dell'omonima battaglia della seconda guerra Anglo-Boera. Tale battaglia vide una grave sconfitta con perdite da parte delle forze britanniche: molti dei caduti erano soldati provenienti da Liverpool e inquadrati nel reggimento di fanteria del Lancashire.
[5] You'll Never Walk Alone (titolo spesso abbreviato in YNWA) è una canzone di scena, scritta dalla coppia statunitense Rodgers/Hammerstein per il musical del 1945 Carousel. Massiccia la diffusione anche in ambito popolare, fino a divenire di fatto l'inno ufficiale della squadra di calcio inglese del Liverpool.
[6] Soprannome del Liverpool dovuto alle divise rosse.
[7] Chiamato anche il Fila dai tifosi del Torino, o Fossa dei Leoni, fu terreno interno del club dal 1926 al 1943, dal 1945 al 1958 e dal 1959 al 1963, legando la sua fama principalmente all'epopea del Grande Torino nel corso degli anni Quaranta.